COINVOLGIMENTO DELL'ITALIA NELLA
SECONDA GUERRA MONDIALE
COSTITUZIONE DEL PATTO DI AMICIZIA
E DI ALLEANZA FRA L'ITALIA E LA GERMANIA (PATTO D'ACCIAIO). LA DOPPIEZZA
TEDESCA
da BENITO MUSSOLINI, L'UOMO DELLA PACE - DA VERSAILLES AL 10 GIUGNO
1940. Cap. XIII. Guido Mussolini e Filippo Giannini
Il 31 marzo 1939 Chamberlain, ai Comuni, rilasciò
la storica dichiarazione che Gran Bretagna e Francia "avrebbero dato
al Governo polacco tutto l’appoggio in loro potere". Ma questa volta
Chamberlain andò oltre: offrì le stesse garanzie a Romania
e Grecia e propose l’alleanza alla Turchia.
In questo torbido clima di emergenza, iniziava o,
per la precisione, continuava il balletto degli inganni tedeschi nei confronti
della loro alleata dell’Asse. Il 15 marzo Goering giunse a Roma e presentò
subito a Mussolini l’interrogativo di quando sarebbe dovuta iniziare la
guerra.
Mussolini rispose che l’Italia non poteva essere
pronta prima del 1942-43 e Goering assicurò che prima di quella
data neanche la Germania sarebbe stata in grado di attaccare. Ma ecco l’inganno:
"Goering già sapeva che l’ordine d’attacco era stato fissato
per il prossimo autunno" (Il tradimento tedesco, di Erich Kuby, pag.
67).
Dopo questa serie di assicurazioni Mussolini confidò,
quasi religiosamente, su alcuni anni di pace.
Avendo avuto da Attolico (ambasciatore italiano
a Berlino) un rapporto allarmante che denunciava come imminente un attacco
tedesco contro la Polonia, chiese al suo ambasciatore di accelerare un
incontro tra Ciano e Ribbentrop per pretendere ulteriori garanzie.
Shirer scrive a pagg. 525-526: "I due Ministri
degli Esteri si incontrarono a Milano il 6 maggio. Ciano era arrivato con
disposizioni scritte di Mussolini il quale intendeva far capire ai tedeschi
che l’Italia desiderava evitare una guerra per almeno altri tre anni. Con
sorpresa di Ciano, il Ministro tedesco dichiarò che anche la Germania
desiderava mantenere la pace per un uguale periodo di tempo". Facendo
leva su queste garanzie offerte al suo collega, Ribbentrop ripresentò
la necessità di un Patto Militare.
Ciano telefonò a Mussolini l’esito dell’incontro
e lo informò delle garanzie avute da Ribbentrop (che poi erano la
conferma di quanto Goering aveva già assicurato il marzo precedente)
che "la Germania è convinta della necessità di un periodo
di pace non inferiore a quattro o cinque anni".
Dal Diario di Ciano risulta evidente che preoccupazione
degli italiani era di non essere più colti di sorpresa di fronte
al fatto compiuto, come invece era accaduto in precedenza. E questa certezza,
si riteneva, di poterla raggiungere solo stipulando con la Germania un
patto formale.
A questo punto, confidando su quelle assicurazioni
e considerando che, a seguito dell’alleanza e protezione offerta alla Polonia
da Francia e Inghilterra, l’Italia non poteva rimanere isolata nel contesto
europeo, Mussolini autorizzò il genero ad accettare la proposta
tedesca di un’alleanza militare tante volte ventilata e mai concretizzata.
Il Patto d’Acciaio (ufficialmente denominato Patto
di amicizia e di alleanza fra l’Italia e la Germania), come fu poi chiamato,
venne firmato a Berlino il 22 maggio 1939. Vittorio Emanuele III, in quell’occasione
fece consegnare, a mezzo di Ciano, il Collare dell’Annunziata a Ribbentrop
e, in risposta ad un messaggio ricevuto da Hitler, così si espresse:
"Adolfo Hitler, Führer e Cancelliere del Reich - Berlino.
In occasione della firma del Patto che viene oggi concluso dai nostri due
Governi, mi è grato inviarVi le espressioni dei miei cordiali sentimenti
di alleato e di amico, insieme ai voti più sinceri per la Vostra
persona e per la prosperità e grandezza del Vostro Paese legato
all’Italia dal saldo vincolo, da una profonda comunanza di interessi e
di propositi. Vittorio Emanuele".
Si è molto discusso sul carattere esplosivo
che caratterizza gli articoli del Patto. Certamente Ciano avrebbe dovuto
porgere maggior attenzione ai vincoli che legavano i due contraenti ma,
a nostro parere, gli obblighi erano sufficientemente chiari e ci riferiamo,
in particolare, all’articolo 2. Per meglio comprendere quanto sosteniamo
riportiamo i primi tre articoli del Patto:
"Sua Maestà il Re d’Italia, Imperatore
d’Etiopia: il Ministro degli Affari Estero Conte Galeazzo Ciano di Cortellazzo;
il Cancelliere del Reich tedesco; Joachin von Ribbentrop; i quali, dopo
essersi scambiati i Pieni Poteri, trovati in buona e debita forma hanno
convenuto i seguenti articoli:
1) Le Parti Contraenti si manterranno permanentemente
in contatto allo scopo di intendersi su tutte le questioni relative ai
loro interessi comuni e alla situazione generale europea;
2) Qualora gli interessi comuni delle Parti Contraenti
dovessero essere messi in pericolo da avvenimenti internazionali di qualsiasi
natura, esse entreranno senza indugio in consultazioni sulle misure da
adottare per la tutela di questi loro interessi vitali. Qualora la sicurezza
o altri interessi vitali di una delle Parti Contraenti dovessero essere
minacciati dall’esterno, l’altra Parte Contraente darà alla Parte
minacciata il suo pieno appoggio politico e diplomatico allo scopo di eliminare
questa minaccia.
3) Se, malgrado i desideri e le speranze delle Parti
Contraenti dovesse accadere che una di esse venisse ad essere impegnata
in complicazioni belliche con un’altra o con altre Potenze, l’altra Parte
Contraente si porrà immediatamente come alleato al suo fianco e
la sosterrà con tutte le sue forze militari, per terra, per mare
e nell’aria.
Interessante è anche la prima parte dell’art.
4) Allo scopo di assicurare, per il caso previsto, la rapida applicazione
degli obblighi di alleanza assunti con l’art. 3, i Governi delle due Parti
Contraenti approfondiranno maggiormente la loro collaborazione nel campo
militare e nel campo della economia di guerra (...).
Berlino, l 22 Maggio 1939 - anno XVII dell’Era Fascista".
Scrive Amedeo Tosti nella sua Storia della Seconda
Guerra Mondiale, pag. 45: "Si seppe più tardi che in quel trattato
era previsto che l’Italia non avrebbe dato contributi militari di sorta
prima del 1942".
"Il giorno dopo la firma del Patto d’Acciaio
- il 23 Maggio - Hitler riunì i capi militari a Berlino, nello studio
della Cancelleria e disse loro bruscamente che nuovi successi erano impossibili
senza spargimento di sangue: la guerra era perciò inevitabile".
(Shirer, op. cit. pag. 528). Questa testimonianza è giunta sino
a noi grazie ad alcune note prese dal colonnello Rudolf Schmundt presente
alla riunione. Insieme a lui erano: il feldmaresciallo Goering, il grandammiraglio
Erich Raeder, il generale Franz Halder, il contrammiraglio Otto Schniewind,
il generale Wlhelm Keitel, l’ispettore della Luftwaffe Erhard Milch, più
altri sette alti ufficiali. Per ordine del Führer, il motivo e le
risoluzioni della riunione dovevano rimanere assolutamente segreti. L’ordine
dell’assoluta segretezza valeva anche nei confronti degli alleati della
Germania: l’Italia e il Giappone.
Prime considerazioni:
a) Mussolini autorizzò Ciano a sottoscrivere
il Patto militare solo dopo aver avuto l’assicurazione che anche l’Altra
Parte "(...) desiderava mantenere la pace per un uguale periodo di
tempo (almeno tre anni ndr)";
b) come si è visto, a meno di 24 ore dalla
firma del Patto, Hitler convocò nella Cancelleria i maggiori esponenti
militari impegnandoli a studiare un piano d’attacco contro la Polonia,
contravvenendo nello spirito l’articolo 2) del Patto;
c) il Governo italiano non fu assolutamente informato
né degli studi d’attacco né, addirittura, dell’inizio delle
operazioni belliche. Veniva così violato in pieno, nella sostanza,
quanto nel Patto previsto.
Questo fu un inganno (parente stretto del tradimento)
che portò l’Italia alla rovina e nella sua rovina trascinò
anche l’altra Parte Contraente.
Come già sopra accennato, molti studiosi
hanno accusato Ciano di leggerezza nello stilare i termini del Patto, sostenedo
che: "Sottoscrivendolo l’Italia si trovò praticamente impegnata
a combattere con tutte le sue forze e senza limite di scadenza qualsaisi
guerra in cui la Germania si trovasse impegnata". (Bruno Barrella
Il Giornale d’Italia - 23 maggio 1989).
Ripetiamo che Ciano avrebbe certamente potuto e
dovuto migliorare il senso e i vincoli del Patto, calcando con maggior
chiarezza alcuni distinguo: come si doveva giungere all’intervento, vale
a dire da aggressori o da aggrediti. Di contro, però, c’è
da considerare che: a) la garanzia ottenuta di almeno tre anni di pace
e, soprattutto b) le garanzie previste nell’art. 2) del Patto in questione
(consultazioni) che, invece, furono completamente disattese da parte tedesca.
C’è da aggiungere però che Erich Kuby,
a pagina 72 del volume già citato attesta: "(...) nel testo
siglato a Milano (incontro Ciano-Ribbentrop del 6 maggio precedente ndr)
questi punti (aggressori o aggrediti ndr) erano chiaramente specificati:
l’intervento armato del partner era previsto unicamente nel caso che l’Italia
o la Germania fossero state aggredite".
L’addetto militare italiano a Berlino, il generale
Roatta, osservati i preparativi bellici tedeschi, mise a punto e inviò
a Roma un dattagliato e incredibilmente preciso rapporto sulla situazione.
Fra l’altro riferì che a seguito di un suo
incontro con l’ammiraglio Canaris, questi gli avrebbe dichiarato che a
suo giudizio, qualora la Germania avesse scatanata la guerra senza consultare
il suo alleato, l’Italia non era obbligata ad entrare nel conflitto.
Questo rapporto non fece che allarmare ancor più
il Governo italiano e, per evitare nuovi colpi di testa, il 30 maggio Mussolini
incaricò Cavallero di recarsi da Hitler a Berlino ribadendo, in
un memoriale, l’impreparazione militare dell’Italia e l’assoluta necessità
di mantener fede alla data stabilita per l’inizio di qualsiasi attività
bellica.
Hitler si mostrò comprensivo, si disse d’accordo
sulle considerazioni di Mussolini ed espresse il desiderio di incontrarlo
quanto prima per discuterne insieme.
Intanto nel suo Diario Ciano annotò: "Le
notizie che manda Attolico continuano ad essere preoccupanti. A suo dire
i tedeschi preparano il colpo di mano su Danzica per il 14 agosto (...)
ma è possibile che tutto ciò avvenga a nostra insaputa, anzi
dopo tante profferte pacifiche fatte dai camerati dell’Asse? Vedremo".
Pochi giorni dopo, Mussolini, preoccupato delle
notizie che giungevano dall’ambasciata di Berlino, si fece promotore di
una nuova proposta di conferenza a quattro per un ampio esame sul problema
di Danzica.
Berlino respinse la proposta.
da BENITO MUSSOLINI, L'UOMO DELLA PACE - DA VERSAILLES AL 10 GIUGNO
1940. Guido Mussolini e Filippo Giannini
Anno di Edizione: 1998. Greco&Greco editori. (Indirizzo
e telefono: vedi EDITORI)
L'IMBARAZZO DI MUSSOLINI TRA LA DOPPIEZZA
TEDESCA E L'IMMAGINE DELL'ITALIA NUOVA
da BENITO MUSSOLINI, L'UOMO DELLA PACE - DA VERSAILLES AL 10 GIUGNO
1940. Cap. XIV. Guido Mussolini e Filippo Giannini
Per volontà di Mussolini, il 10 agosto Ciano
partì per Salisburgo per incontrarsi con Ribbentrop. Prima di congedarsi
dal genero, Mussolini gli raccomandò ancora di far presente ai tedeschi
che l’Italia era nell’impossibilità materiale di intraprendere un
conflitto; che un attacco alla Polonia non sarebbe potuto essere localizzato
e che una guerra generale sarebbe disastrosa per tutti. "Ciano lo
guarda con commozione: mai come quel giorno il duce ha parlato con tanto
calore e senza riserve della necessità della pace. Il genero è
del tutto d’accordo: si batterà con coraggio, ma dubita dei risultati".
(Guido Gerosa Io Mussolini, pag. 588).
A Salisburgo Ciano trovò un ambiente freddo
e ostile. Scrive nel suo Diario: "Mi rendo presto conto che non c’è
niente da fare. Ma decido di colpire e colpirò".
Fu proprio a Salisburgo che i tedeschi confideranno
a Ciano che vogliono la guerra: "Volete il corridoio di Danzica?"
Chiese Ciano, pronto ad offrire una nuova conferenza. "Vogliamo la
guerra" replicò Ribbentrop.
Il 13 agosto Ciano annotò nel suo Diario
"(...) Torno a Roma disgustato della Germania, dei suoi capi, del
loro modo d’agire. Ci hanno ingannato e mentito. E oggi stanno per tirarci
in un’avventura che non abbiamo voluto e che può compromettere il
Regime e il Paese".
Ciano sfogò col suocero la rabbia impotente
contro i tedeschi sostenendo l’inganno da loro congegnato a nostro danno.
Mussolini condivise lo sdegno del genero. In merito esiste la documentazione,
molto poco conosciuta, di una concitata e significativa intercettazione
telefonica, registrata dai servizi segreti del regime che non risparmiavano
nemmeno le più alte sfere. Questa è riportata dal N°
383 di Historia del gennaio 1990 e dimostra quale fosse lo stato d’animo
del Duce, in quel momento, verso il Führer e i suoi collaboratori:
Mussolini: "Ma qui c’è un comunicato
ufficiale del Nachrichten Buro, che parla di concordanza al 100% di tutti
i problemi. Come si spiega?"
Ciano: "È falso!".
Mussolini: "Allora come si spiega?".
Ciano: "Ho parlato con il mio collega (Ribbentrop,
ndr); egli non è soltanto un idiota, ma anche un grande ostinato
ignorante…".
Mussolini: "E quel pazzo? (Hitler, ndr)".
Ciano: "In linea di massima ha riconosciuto
le nostre buone ragioni… Da quanto ho potuto capire, quell’energumeno cerca
la scusa del corridoio (polacco ndr)…, ma ha l’intenzione di prendersi
tutto l’appartamento; in ciò forse, d’accordo con l’orso (la Russia
ndr)".
Mussolini: "Criminale!".
Ciano: "Non sarebbe nemmeno azzardato pensare
che, siccome l’appetito viene mangiando, abbia anche voglia di una villeggiatura
al mare, dalla parte dell’Adriatico… San Giusto!".
Mussolini: "Ciò potrebbe procurargli
un’indigestione: bisognerebbe mandarlo in un campo di concentramento!".
Questa conversazione si svolse a seguito di alcune
note tedesche rilasciate al termine delle conversazioni svolte fra Ciano
e il Führer dove questi preferì evitare qualsiasi commento
d’accordo con il Ministro degli Esteri italiano. Invece, appena due ore
dopo la partenza di Ciano, senza aver interpellato il loro alleato italiano,
l’agenzia d’informazioni ufficiale tedesca, la DNB, diffuse un comunicato
dando notizia che le conversazioni avevano trattato tutti i problemi del
momento e che si erano concluse con un accordo al cento per cento. L’ambasciatore
italiano Attolico reagì a questo comunicato accusando il Governo
germanico di diffondere notizie false e inoltrò a Roma un dispaccio
che definiva machiavellico il comunicato tedesco. Nello stesso dispaccio
Attolico raccomandava a Mussolini di mostrarsi irremovibile nel pretendere
da parte germanica il rispetto delle disposizioni previste nel Patto d’Acciaio,
particolarmente nell’esigere l’osservanza dell’articolo 2, quello riguardante
le consultazioni.
Nei giorni successivi si verificò in Mussolini
un alternarsi di posizioni antitetiche, da un lato agiva su di lui il richiamo
al senso dell’onore con l’obbligo della fedeltà alla parola data;
dall’altro la consapevolezza dell’assoluta impreparazione delle forze armate
e la sensazione che l’opinione pubblica fosse contraria alla guerra.
Il Duce, confidandosi con Ciano, estrinsecò
la sua maggiore preoccupazione e cioè che "se l’Italia dovesse
denunciare il Patto, quali assicurazioni avremmo che Hitler non accantonerebbe
la questione polacca per saldare il conto con l’Italia". (Il Diario
di Ciano -18 agosto 1939).
Scrive sempre Gherardo Bozzetti su Historia: "Per
contro Mussolini ha paura dei tedeschi; se denuncia il Patto d’Acciaio,
Hitler potrebbe lasciar perdere la Polonia e rivolgersi contro l’Italia.
Il Reich, dopo l’Anschluss, osteggiato e poi accettato rassegnatamente
da Mussolini, ha portato i suoi confini al Brennero".
Siamo perfettamente d’accordo con la breve analisi
condotta da Bozzetti: a nostro avviso il Capo del Governo italiano si trovava
in una situazione di impossibilità, da una parte di piantare i tedeschi
(questi avevano un vecchio conto da regolare con noi); dall’altra la sensazione
che con l’inganno saremmo stati trascinati verso la nostra rovina. In quest’ottica,
riteniamo, debba essere letta la storia dei giorni che seguirono.
Scrive Gerosa: "Mussolini passa momenti di
terribile sbandamento. Nel corso della stessa giornata è capace
di passare da un impeto di lealismo verso la Germania alla volontà
di sganciarsi dall’alleanza, dal proposito di denunciare il trattato (...)
Stracciate il Patto (È Ciano che parla al suocero ndr), gettatelo
in faccia a Hitler e l’Europa riconoscerà in voi il Capo naturale
della crociata antigermanica. Volete che vada io a Salisburgo? Ebbene,
vado e saprò parlare ai tedeschi come conviene. A me Hitler non
farà spegnere la sigaretta, come fece con Schuschnigg. Mussolini
è molto scosso e approva la proposta. Telefonano a Ribentrop che
per lungo tempo non si fa trovare e Ciano gli chiede un incontro al Brennero.
Clamoroso colpo di scena: alle 10,30 di sera del 21 agosto Ribbentrop telefona
che è disposto a vedere Ciano, ma non alla frontiera bensì
a Innsbruck, perché è in partenza per Mosca dove firmerà
il patto di non aggressione con i sovietici. Per Mussolini è una
folgore. I tedeschi hanno fatto un colpo da maestri e ribaltano la situazione
europea (...). Francia e Inghilterra fanno sapere ai quattro venti che
interverranno in un conflitto (...)".
Si deve tener presente che a Roma, finora, non si
aveva neppure una più lontana idea dei negoziati con Mosca.
Il 25 agosto venne firmata l’annunciata alleanza
tra la Polonia e la Gran Bretagna. Quello stesso giorno Mussolini scrisse
una lettera a Hitler, ribadendo l’attuale impreparazione dell’Italia e
l’impossibilità di intraprendere qualsiasi azione bellica a meno
di ricevere consistenti aiuti.
La lettera di disimpegno di Mussolini e la notizia
dell’avvenuta firma di assistenza anglo-polacca, fecero esplodere d’ira
il Führer che, pare, esclamasse: "gli italiani si stanno comportando
come nel 1914". Questa lettera servì a far sospendere, almeno
per pochi giorni, l’inizio delle operazioni belliche anche se a gran fatica,
giacché molte unità germaniche erano in movimento.
La sera stessa Hitler rispose a Mussolini chiedendo
l’elenco del fabbisogno italiano.
Il 26 la lista è pronta. È un elenco
di richieste per 170 milioni di tonnellate di materiale e che richiederebbe
17 mila treni e… consegna immediata!
Ovviamente fu una lista volutamente gonfiata e sostenuta
anche dall’ambasciatore tedesco a Roma, von Mackensen, contrario alla guerra
e che sperava con questo espediente di fermare il suo Governo.
Quella lista fece dire a Ciano, quasi con compiacimento
la famosa frase: "È tale da uccidere un toro se sapesse leggere".
La richiesta era accompagnata da una lettera personale
del Duce che, data l’importanza del contenuto della parte terminale, riteniamo
opportuno proporre: "(...) È mio dovere informarVi che senza
la certezza di ricevere questi rifornimenti, i sacrifici che imporrei al
popolo italiano sarebbero probabilmente inutili e potrebbero compromettere,
insieme alla Vostra causa, anche la mia".
La risposta di Hitler giunse nella stessa giornata:
"Date le condizioni, Duce, comprendo la Vostra situazione e Vi prego
soltanto di voler provocare, mediante un’attiva propaganda e opportune
dimostrazioni militari, la coalizione da me auspicata delle forze anglo-francesi".
I tentativi di Mussolini per evitare all’Europa
la guerra si fecero, in quelle ore, ancora più febbrili. Alcuni
storici sostengono che "il dittatore italiano si batteva per la pace
solo perché non era pronto alla guerra. Ma questo ruolo gli risulta
assai poco gradito". È probabile che sia così, ma i
fatti dimostrano che, almeno in quel momento, si batteva per la pace. Il
resto è mera illazione.
Alle 18,42, sempre di quel 26 agosto, Mussolini
compì un ulteriore tentativo per dissuadere Hitler dall’iniziare
la guerra. Spedì un nuovo messaggio nel quale fra l’altro attestava:
"(...) Oso insistere nuovamente non certo per considerazioni di carattere
pacifista, estranee alla mia natura, ma nell’interesse dei nostri due popoli
e dei nostri due regimi, sull’opportunità di venire a una soluzione
di carattere politico che io ritengo ancora possibile: soluzione, naturalmente
tale da dare alla Germania piena soddisfazione, morale e materiale".
Il 27 dello stesso mese convocò l’ambasciatore
von Mackensen che, come riferì in seguito: "(Mussolini) con
parole convincenti riteneva ancora possibile raggiungere tutti i nostri
obiettivi senza ricorrere alla guerra".
Quello stesso giorno, il Presidente del Consiglio
francese Daladier, inviò una lettera al Führer, nella quale
confermava che, se la Polonia fosse stata attaccata, la Francia sarebbe
scesa in campo.
Si stava confermando quanto Mussolini sosteneva
e cioè che con l’attacco alla Polonia la guerra non sarebbe stata
localizzata ma si sarebbe estesa al resto del continente.
Quelle poche ore che mancavano all’inizio del conflitto,
furono riempite da una caotica attività diplomatica tra Londra,
Parigi, Roma e Berlino.
Il perno principale sul quale ruotava la speranza
di pace era ancora Mussolini. Come scrive Erick Kuby a pag. 90 (ma l’opinione
è condivisa da tutti gli storici): "Gli inglesi si ostinano
a credere di riuscire a combinare ancora qualcosa per il tramite di Roma
e Mussolini seguita a coltivare contro ogni logica la sua idea di una conferenza
di pace". Erick Kubick, amaramente, deve constatare che: "certo,
niente di quello che Mussolini potrebbe intraprendere a questo punto -
compresa la dichiarazione che, se costretto a entrare in guerra, si schiererebbe
dalla parte degli Occidentali - avrebbe il potere di trattenere Hitler
dallo scatenarla".
Ho un unico timore "confidò Hitler in
quei giorni" che all’ultimo momento salti fuori un figlio di cane
proponendomi la sua mediazione". Ovviamente il figlio di cane era
Mussolini.
E il figlio di cane affannosamente cercava la soluzione
per evitare il conflitto. Il 30 agosto alle 17 Attolico comunicò
a Ribbentrop che era "vivo desiderio del Duce" che il Führer
ricevesse l’ambasciatore polacco Lipski "così da stabilire
almeno i minimi contatti necessari per evitare una rottura definitiva".
Ma la pazzia e l’incoscienza avevano contagiato tutti: anche i polacchi,
sentendosi garantiti dalle promesse d’intervento anglo-francese, rinvigorirono
la propria intransiggenza. Anche da oltreoceano, dal Presidente americano
giungevano al Governo polacco l’incitamento a non cedere.(12)
Alle 9 del mattino del 31, Attolico comunicò
che "la situazione era disperata e che se non si verificherà
un fatto nuovo, di lì a poche ore, ci sarà la guerra".
da BENITO MUSSOLINI, L'UOMO DELLA PACE - DA VERSAILLES AL 10 GIUGNO
1940. Guido Mussolini e Filippo Giannini
Anno di Edizione: 1998. Greco&Greco editori. (Indirizzo
e telefono: vedi EDITORI)