COINVOLGIMENTO DELL'ITALIA NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE                     


COSTITUZIONE DEL PATTO DI AMICIZIA E DI ALLEANZA FRA L'ITALIA E LA GERMANIA (PATTO D'ACCIAIO). LA DOPPIEZZA TEDESCA
da BENITO MUSSOLINI, L'UOMO DELLA PACE - DA VERSAILLES AL 10 GIUGNO 1940. Cap. XIII. Guido Mussolini e Filippo Giannini
 
     
    Il 31 marzo 1939 Chamberlain, ai Comuni, rilasciò la storica dichiarazione che Gran Bretagna e Francia "avrebbero dato al Governo polacco tutto l’appoggio in loro potere". Ma questa volta Chamberlain andò oltre: offrì le stesse garanzie a Romania e Grecia e propose l’alleanza alla Turchia.
    In questo torbido clima di emergenza, iniziava o, per la precisione, continuava il balletto degli inganni tedeschi nei confronti della loro alleata dell’Asse. Il 15 marzo Goering giunse a Roma e presentò subito a Mussolini l’interrogativo di quando sarebbe dovuta iniziare la guerra.
    Mussolini rispose che l’Italia non poteva essere pronta prima del 1942-43 e Goering assicurò che prima di quella data neanche la Germania sarebbe stata in grado di attaccare. Ma ecco l’inganno: "Goering già sapeva che l’ordine d’attacco era stato fissato per il prossimo autunno" (Il tradimento tedesco, di Erich Kuby, pag. 67).
    Dopo questa serie di assicurazioni Mussolini confidò, quasi religiosamente, su alcuni anni di pace. 
    Avendo avuto da Attolico (ambasciatore italiano a Berlino) un rapporto allarmante che denunciava come imminente un attacco tedesco contro la Polonia, chiese al suo ambasciatore di accelerare un incontro tra Ciano e Ribbentrop per pretendere ulteriori garanzie.
    Shirer scrive a pagg. 525-526: "I due Ministri degli Esteri si incontrarono a Milano il 6 maggio. Ciano era arrivato con disposizioni scritte di Mussolini il quale intendeva far capire ai tedeschi che l’Italia desiderava evitare una guerra per almeno altri tre anni. Con sorpresa di Ciano, il Ministro tedesco dichiarò che anche la Germania desiderava mantenere la pace per un uguale periodo di tempo". Facendo leva su queste garanzie offerte al suo collega, Ribbentrop ripresentò la necessità di un Patto Militare.
    Ciano telefonò a Mussolini l’esito dell’incontro e lo informò delle garanzie avute da Ribbentrop (che poi erano la conferma di quanto Goering aveva già assicurato il marzo precedente) che "la Germania è convinta della necessità di un periodo di pace non inferiore a quattro o cinque anni".
    Dal Diario di Ciano risulta evidente che preoccupazione degli italiani era di non essere più colti di sorpresa di fronte al fatto compiuto, come invece era accaduto in precedenza. E questa certezza, si riteneva, di poterla raggiungere solo stipulando con la Germania un patto formale.
    A questo punto, confidando su quelle assicurazioni e considerando che, a seguito dell’alleanza e protezione offerta alla Polonia da Francia e Inghilterra, l’Italia non poteva rimanere isolata nel contesto europeo, Mussolini autorizzò il genero ad accettare la proposta tedesca di un’alleanza militare tante volte ventilata e mai concretizzata.
    Il Patto d’Acciaio (ufficialmente denominato Patto di amicizia e di alleanza fra l’Italia e la Germania), come fu poi chiamato, venne firmato a Berlino il 22 maggio 1939. Vittorio Emanuele III, in quell’occasione fece consegnare, a mezzo di Ciano, il Collare dell’Annunziata a Ribbentrop e, in risposta ad un messaggio ricevuto da Hitler, così si espresse:
"Adolfo Hitler, Führer e Cancelliere del Reich - Berlino. In occasione della firma del Patto che viene oggi concluso dai nostri due Governi, mi è grato inviarVi le espressioni dei miei cordiali sentimenti di alleato e di amico, insieme ai voti più sinceri per la Vostra persona e per la prosperità e grandezza del Vostro Paese legato all’Italia dal saldo vincolo, da una profonda comunanza di interessi e di propositi.     Vittorio Emanuele".
    Si è molto discusso sul carattere esplosivo che caratterizza gli articoli del Patto. Certamente Ciano avrebbe dovuto porgere maggior attenzione ai vincoli che legavano i due contraenti ma, a nostro parere, gli obblighi erano sufficientemente chiari e ci riferiamo, in particolare, all’articolo 2. Per meglio comprendere quanto sosteniamo riportiamo i primi tre articoli del Patto:
    "Sua Maestà il Re d’Italia, Imperatore d’Etiopia: il Ministro degli Affari Estero Conte Galeazzo Ciano di Cortellazzo; il Cancelliere del Reich tedesco; Joachin von Ribbentrop; i quali, dopo essersi scambiati i Pieni Poteri, trovati in buona e debita forma hanno convenuto i seguenti articoli:
    1) Le Parti Contraenti si manterranno permanentemente in contatto allo scopo di intendersi su tutte le questioni relative ai loro interessi comuni e alla situazione generale europea;
    2) Qualora gli interessi comuni delle Parti Contraenti dovessero essere messi in pericolo da avvenimenti internazionali di qualsiasi natura, esse entreranno senza indugio in consultazioni sulle misure da adottare per la tutela di questi loro interessi vitali. Qualora la sicurezza o altri interessi vitali di una delle Parti Contraenti dovessero essere minacciati dall’esterno, l’altra Parte Contraente darà alla Parte minacciata il suo pieno appoggio politico e diplomatico allo scopo di eliminare questa minaccia. 
    3) Se, malgrado i desideri e le speranze delle Parti Contraenti dovesse accadere che una di esse venisse ad essere impegnata in complicazioni belliche con un’altra o con altre Potenze, l’altra Parte Contraente si porrà immediatamente come alleato al suo fianco e la sosterrà con tutte le sue forze militari, per terra, per mare e nell’aria.
    Interessante è anche la prima parte dell’art. 4) Allo scopo di assicurare, per il caso previsto, la rapida applicazione degli obblighi di alleanza assunti con l’art. 3, i Governi delle due Parti Contraenti approfondiranno maggiormente la loro collaborazione nel campo militare e nel campo della economia di guerra (...).
    Berlino, l 22 Maggio 1939 - anno XVII dell’Era Fascista".
    Scrive Amedeo Tosti nella sua Storia della Seconda Guerra Mondiale, pag. 45: "Si seppe più tardi che in quel trattato era previsto che l’Italia non avrebbe dato contributi militari di sorta prima del 1942".
    "Il giorno dopo la firma del Patto d’Acciaio - il 23 Maggio - Hitler riunì i capi militari a Berlino, nello studio della Cancelleria e disse loro bruscamente che nuovi successi erano impossibili senza spargimento di sangue: la guerra era perciò inevitabile". (Shirer, op. cit. pag. 528). Questa testimonianza è giunta sino a noi grazie ad alcune note prese dal colonnello Rudolf Schmundt presente alla riunione. Insieme a lui erano: il feldmaresciallo Goering, il grandammiraglio Erich Raeder, il generale Franz Halder, il contrammiraglio Otto Schniewind, il generale Wlhelm Keitel, l’ispettore della Luftwaffe Erhard Milch, più altri sette alti ufficiali. Per ordine del Führer, il motivo e le risoluzioni della riunione dovevano rimanere assolutamente segreti. L’ordine dell’assoluta segretezza valeva anche nei confronti degli alleati della Germania: l’Italia e il Giappone.
    Prime considerazioni: 
    a) Mussolini autorizzò Ciano a sottoscrivere il Patto militare solo dopo aver avuto l’assicurazione che anche l’Altra Parte "(...) desiderava mantenere la pace per un uguale periodo di tempo (almeno tre anni ndr)"; 
    b) come si è visto, a meno di 24 ore dalla firma del Patto, Hitler convocò nella Cancelleria i maggiori esponenti militari impegnandoli a studiare un piano d’attacco contro la Polonia, contravvenendo nello spirito l’articolo 2) del Patto;
    c) il Governo italiano non fu assolutamente informato né degli studi d’attacco né, addirittura, dell’inizio delle operazioni belliche. Veniva così violato in pieno, nella sostanza, quanto nel Patto previsto.
    Questo fu un inganno (parente stretto del tradimento) che portò l’Italia alla rovina e nella sua rovina trascinò anche l’altra Parte Contraente. 
    Come già sopra accennato, molti studiosi hanno accusato Ciano di leggerezza nello stilare i termini del Patto, sostenedo che: "Sottoscrivendolo l’Italia si trovò praticamente impegnata a combattere con tutte le sue forze e senza limite di scadenza qualsaisi guerra in cui la Germania si trovasse impegnata". (Bruno Barrella Il Giornale d’Italia - 23 maggio 1989).
    Ripetiamo che Ciano avrebbe certamente potuto e dovuto migliorare il senso e i vincoli del Patto, calcando con maggior chiarezza alcuni distinguo: come si doveva giungere all’intervento, vale a dire da aggressori o da aggrediti. Di contro, però, c’è da considerare che: a) la garanzia ottenuta di almeno tre anni di pace e, soprattutto b) le garanzie previste nell’art. 2) del Patto in questione (consultazioni) che, invece, furono completamente disattese da parte tedesca.
    C’è da aggiungere però che Erich Kuby, a pagina 72 del volume già citato attesta: "(...) nel testo siglato a Milano (incontro Ciano-Ribbentrop del 6 maggio precedente ndr) questi punti (aggressori o aggrediti ndr) erano chiaramente specificati: l’intervento armato del partner era previsto unicamente nel caso che l’Italia o la Germania fossero state aggredite".
    L’addetto militare italiano a Berlino, il generale Roatta, osservati i preparativi bellici tedeschi, mise a punto e inviò a Roma un dattagliato e incredibilmente preciso rapporto sulla situazione. 
    Fra l’altro riferì che a seguito di un suo incontro con l’ammiraglio Canaris, questi gli avrebbe dichiarato che a suo giudizio, qualora la Germania avesse scatanata la guerra senza consultare il suo alleato, l’Italia non era obbligata ad entrare nel conflitto. 
    Questo rapporto non fece che allarmare ancor più il Governo italiano e, per evitare nuovi colpi di testa, il 30 maggio Mussolini incaricò Cavallero di recarsi da Hitler a Berlino ribadendo, in un memoriale, l’impreparazione militare dell’Italia e l’assoluta necessità di mantener fede alla data stabilita per l’inizio di qualsiasi attività bellica.
    Hitler si mostrò comprensivo, si disse d’accordo sulle considerazioni di Mussolini ed espresse il desiderio di incontrarlo quanto prima per discuterne insieme.
    Intanto nel suo Diario Ciano annotò: "Le notizie che manda Attolico continuano ad essere preoccupanti. A suo dire i tedeschi preparano il colpo di mano su Danzica per il 14 agosto (...) ma è possibile che tutto ciò avvenga a nostra insaputa, anzi dopo tante profferte pacifiche fatte dai camerati dell’Asse? Vedremo".
    Pochi giorni dopo, Mussolini, preoccupato delle notizie che giungevano dall’ambasciata di Berlino, si fece promotore di una nuova proposta di conferenza a quattro per un ampio esame sul problema di Danzica. 
    Berlino respinse la proposta.
 
     
da BENITO MUSSOLINI, L'UOMO DELLA PACE - DA VERSAILLES AL 10 GIUGNO 1940. Guido Mussolini e Filippo Giannini
Anno di Edizione: 1998. Greco&Greco editori. (Indirizzo e telefono: vedi EDITORI)

L'IMBARAZZO DI MUSSOLINI TRA LA DOPPIEZZA TEDESCA E L'IMMAGINE DELL'ITALIA NUOVA
da BENITO MUSSOLINI, L'UOMO DELLA PACE - DA VERSAILLES AL 10 GIUGNO 1940. Cap. XIV. Guido Mussolini e Filippo Giannini
 
     
    Per volontà di Mussolini, il 10 agosto Ciano partì per Salisburgo per incontrarsi con Ribbentrop. Prima di congedarsi dal genero, Mussolini gli raccomandò ancora di far presente ai tedeschi che l’Italia era nell’impossibilità materiale di intraprendere un conflitto; che un attacco alla Polonia non sarebbe potuto essere localizzato e che una guerra generale sarebbe disastrosa per tutti. "Ciano lo guarda con commozione: mai come quel giorno il duce ha parlato con tanto calore e senza riserve della necessità della pace. Il genero è del tutto d’accordo: si batterà con coraggio, ma dubita dei risultati". (Guido Gerosa Io Mussolini, pag. 588).
    A Salisburgo Ciano trovò un ambiente freddo e ostile. Scrive nel suo Diario: "Mi rendo presto conto che non c’è niente da fare. Ma decido di colpire e colpirò".
    Fu proprio a Salisburgo che i tedeschi confideranno a Ciano che vogliono la guerra: "Volete il corridoio di Danzica?" Chiese Ciano, pronto ad offrire una nuova conferenza. "Vogliamo la guerra" replicò Ribbentrop.
    Il 13 agosto Ciano annotò nel suo Diario "(...) Torno a Roma disgustato della Germania, dei suoi capi, del loro modo d’agire. Ci hanno ingannato e mentito. E oggi stanno per tirarci in un’avventura che non abbiamo voluto e che può compromettere il Regime e il Paese".
    Ciano sfogò col suocero la rabbia impotente contro i tedeschi sostenendo l’inganno da loro congegnato a nostro danno. Mussolini condivise lo sdegno del genero. In merito esiste la documentazione, molto poco conosciuta, di una concitata e significativa intercettazione telefonica, registrata dai servizi segreti del regime che non risparmiavano nemmeno le più alte sfere. Questa è riportata dal N° 383 di Historia del gennaio 1990 e dimostra quale fosse lo stato d’animo del Duce, in quel momento, verso il Führer e i suoi collaboratori:
    Mussolini: "Ma qui c’è un comunicato ufficiale del Nachrichten Buro, che parla di concordanza al 100% di tutti i problemi. Come si spiega?"
    Ciano: "È falso!".
    Mussolini: "Allora come si spiega?".
    Ciano: "Ho parlato con il mio collega (Ribbentrop, ndr); egli non è soltanto un idiota, ma anche un grande ostinato ignorante…".
    Mussolini: "E quel pazzo? (Hitler, ndr)".
    Ciano: "In linea di massima ha riconosciuto le nostre buone ragioni… Da quanto ho potuto capire, quell’energumeno cerca la scusa del corridoio (polacco ndr)…, ma ha l’intenzione di prendersi tutto l’appartamento; in ciò forse, d’accordo con l’orso (la Russia ndr)".
    Mussolini: "Criminale!".
    Ciano: "Non sarebbe nemmeno azzardato pensare che, siccome l’appetito viene mangiando, abbia anche voglia di una villeggiatura al mare, dalla parte dell’Adriatico… San Giusto!".
    Mussolini: "Ciò potrebbe procurargli un’indigestione: bisognerebbe mandarlo in un campo di concentramento!".
    Questa conversazione si svolse a seguito di alcune note tedesche rilasciate al termine delle conversazioni svolte fra Ciano e il Führer dove questi preferì evitare qualsiasi commento d’accordo con il Ministro degli Esteri italiano. Invece, appena due ore dopo la partenza di Ciano, senza aver interpellato il loro alleato italiano, l’agenzia d’informazioni ufficiale tedesca, la DNB, diffuse un comunicato dando notizia che le conversazioni avevano trattato tutti i problemi del momento e che si erano concluse con un accordo al cento per cento. L’ambasciatore italiano Attolico reagì a questo comunicato accusando il Governo germanico di diffondere notizie false e inoltrò a Roma un dispaccio che definiva machiavellico il comunicato tedesco. Nello stesso dispaccio Attolico raccomandava a Mussolini di mostrarsi irremovibile nel pretendere da parte germanica il rispetto delle disposizioni previste nel Patto d’Acciaio, particolarmente nell’esigere l’osservanza dell’articolo 2, quello riguardante le consultazioni.
    Nei giorni successivi si verificò in Mussolini un alternarsi di posizioni antitetiche, da un lato agiva su di lui il richiamo al senso dell’onore con l’obbligo della fedeltà alla parola data; dall’altro la consapevolezza dell’assoluta impreparazione delle forze armate e la sensazione che l’opinione pubblica fosse contraria alla guerra.
    Il Duce, confidandosi con Ciano, estrinsecò la sua maggiore preoccupazione e cioè che "se l’Italia dovesse denunciare il Patto, quali assicurazioni avremmo che Hitler non accantonerebbe la questione polacca per saldare il conto con l’Italia". (Il Diario di Ciano -18 agosto 1939).
    Scrive sempre Gherardo Bozzetti su Historia: "Per contro Mussolini ha paura dei tedeschi; se denuncia il Patto d’Acciaio, Hitler potrebbe lasciar perdere la Polonia e rivolgersi contro l’Italia. Il Reich, dopo l’Anschluss, osteggiato e poi accettato rassegnatamente da Mussolini, ha portato i suoi confini al Brennero".
    Siamo perfettamente d’accordo con la breve analisi condotta da Bozzetti: a nostro avviso il Capo del Governo italiano si trovava in una situazione di impossibilità, da una parte di piantare i tedeschi (questi avevano un vecchio conto da regolare con noi); dall’altra la sensazione che con l’inganno saremmo stati trascinati verso la nostra rovina. In quest’ottica, riteniamo, debba essere letta la storia dei giorni che seguirono.
    Scrive Gerosa: "Mussolini passa momenti di terribile sbandamento. Nel corso della stessa giornata è capace di passare da un impeto di lealismo verso la Germania alla volontà di sganciarsi dall’alleanza, dal proposito di denunciare il trattato (...) Stracciate il Patto (È Ciano che parla al suocero ndr), gettatelo in faccia a Hitler e l’Europa riconoscerà in voi il Capo naturale della crociata antigermanica. Volete che vada io a Salisburgo? Ebbene, vado e saprò parlare ai tedeschi come conviene. A me Hitler non farà spegnere la sigaretta, come fece con Schuschnigg. Mussolini è molto scosso e approva la proposta. Telefonano a Ribentrop che per lungo tempo non si fa trovare e Ciano gli chiede un incontro al Brennero. Clamoroso colpo di scena: alle 10,30 di sera del 21 agosto Ribbentrop telefona che è disposto a vedere Ciano, ma non alla frontiera bensì a Innsbruck, perché è in partenza per Mosca dove firmerà il patto di non aggressione con i sovietici. Per Mussolini è una folgore. I tedeschi hanno fatto un colpo da maestri e ribaltano la situazione europea (...). Francia e Inghilterra fanno sapere ai quattro venti che interverranno in un conflitto (...)". 
    Si deve tener presente che a Roma, finora, non si aveva neppure una più lontana idea dei negoziati con Mosca.
    Il 25 agosto venne firmata l’annunciata alleanza tra la Polonia e la Gran Bretagna. Quello stesso giorno Mussolini scrisse una lettera a Hitler, ribadendo l’attuale impreparazione dell’Italia e l’impossibilità di intraprendere qualsiasi azione bellica a meno di ricevere consistenti aiuti.
    La lettera di disimpegno di Mussolini e la notizia dell’avvenuta firma di assistenza anglo-polacca, fecero esplodere d’ira il Führer che, pare, esclamasse: "gli italiani si stanno comportando come nel 1914". Questa lettera servì a far sospendere, almeno per pochi giorni, l’inizio delle operazioni belliche anche se a gran fatica, giacché molte unità germaniche erano in movimento.
    La sera stessa Hitler rispose a Mussolini chiedendo l’elenco del fabbisogno italiano. 
    Il 26 la lista è pronta. È un elenco di richieste per 170 milioni di tonnellate di materiale e che richiederebbe 17 mila treni e… consegna immediata!
    Ovviamente fu una lista volutamente gonfiata e sostenuta anche dall’ambasciatore tedesco a Roma, von Mackensen, contrario alla guerra e che sperava con questo espediente di fermare il suo Governo.
    Quella lista fece dire a Ciano, quasi con compiacimento la famosa frase: "È tale da uccidere un toro se sapesse leggere".
    La richiesta era accompagnata da una lettera personale del Duce che, data l’importanza del contenuto della parte terminale, riteniamo opportuno proporre: "(...) È mio dovere informarVi che senza la certezza di ricevere questi rifornimenti, i sacrifici che imporrei al popolo italiano sarebbero probabilmente inutili e potrebbero compromettere, insieme alla Vostra causa, anche la mia". 
    La risposta di Hitler giunse nella stessa giornata: "Date le condizioni, Duce, comprendo la Vostra situazione e Vi prego soltanto di voler provocare, mediante un’attiva propaganda e opportune dimostrazioni militari, la coalizione da me auspicata delle forze anglo-francesi".
    I tentativi di Mussolini per evitare all’Europa la guerra si fecero, in quelle ore, ancora più febbrili. Alcuni storici sostengono che "il dittatore italiano si batteva per la pace solo perché non era pronto alla guerra. Ma questo ruolo gli risulta assai poco gradito". È probabile che sia così, ma i fatti dimostrano che, almeno in quel momento, si batteva per la pace. Il resto è mera illazione.
    Alle 18,42, sempre di quel 26 agosto, Mussolini compì un ulteriore tentativo per dissuadere Hitler dall’iniziare la guerra. Spedì un nuovo messaggio nel quale fra l’altro attestava: "(...) Oso insistere nuovamente non certo per considerazioni di carattere pacifista, estranee alla mia natura, ma nell’interesse dei nostri due popoli e dei nostri due regimi, sull’opportunità di venire a una soluzione di carattere politico che io ritengo ancora possibile: soluzione, naturalmente tale da dare alla Germania piena soddisfazione, morale e materiale".
    Il 27 dello stesso mese convocò l’ambasciatore von Mackensen che, come riferì in seguito: "(Mussolini) con parole convincenti riteneva ancora possibile raggiungere tutti i nostri obiettivi senza ricorrere alla guerra".
    Quello stesso giorno, il Presidente del Consiglio francese Daladier, inviò una lettera al Führer, nella quale confermava che, se la Polonia fosse stata attaccata, la Francia sarebbe scesa in campo.
    Si stava confermando quanto Mussolini sosteneva e cioè che con l’attacco alla Polonia la guerra non sarebbe stata localizzata ma si sarebbe estesa al resto del continente.
    Quelle poche ore che mancavano all’inizio del conflitto, furono riempite da una caotica attività diplomatica tra Londra, Parigi, Roma e Berlino. 
    Il perno principale sul quale ruotava la speranza di pace era ancora Mussolini. Come scrive Erick Kuby a pag. 90 (ma l’opinione è condivisa da tutti gli storici): "Gli inglesi si ostinano a credere di riuscire a combinare ancora qualcosa per il tramite di Roma e Mussolini seguita a coltivare contro ogni logica la sua idea di una conferenza di pace". Erick Kubick, amaramente, deve constatare che: "certo, niente di quello che Mussolini potrebbe intraprendere a questo punto - compresa la dichiarazione che, se costretto a entrare in guerra, si schiererebbe dalla parte degli Occidentali - avrebbe il potere di trattenere Hitler dallo scatenarla".
    Ho un unico timore "confidò Hitler in quei giorni" che all’ultimo momento salti fuori un figlio di cane proponendomi la sua mediazione". Ovviamente il figlio di cane era Mussolini.
    E il figlio di cane affannosamente cercava la soluzione per evitare il conflitto. Il 30 agosto alle 17 Attolico comunicò a Ribbentrop che era "vivo desiderio del Duce" che il Führer ricevesse l’ambasciatore polacco Lipski "così da stabilire almeno i minimi contatti necessari per evitare una rottura definitiva". Ma la pazzia e l’incoscienza avevano contagiato tutti: anche i polacchi, sentendosi garantiti dalle promesse d’intervento anglo-francese, rinvigorirono la propria intransiggenza. Anche da oltreoceano, dal Presidente americano giungevano al Governo polacco l’incitamento a non cedere.(12)
    Alle 9 del mattino del 31, Attolico comunicò che "la situazione era disperata e che se non si verificherà un fatto nuovo, di lì a poche ore, ci sarà la guerra".
 
 
da BENITO MUSSOLINI, L'UOMO DELLA PACE - DA VERSAILLES AL 10 GIUGNO 1940. Guido Mussolini e Filippo Giannini
Anno di Edizione: 1998. Greco&Greco editori. (Indirizzo e telefono: vedi EDITORI)

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